Il pasticcio
I
Gli amici più cari dall’esilio
dove sono remoti della memoria
escono a volte senza gioia
con reciproco fastidio
Briciole del divino alimento
lasciate cadere di tasca
per ritrovare la strada in pasto
agli uccelli agli insetti al vento
Offrendo in dono ospitale
nostalgie cui si chiude la porta
come alla vecchietta smorta
che predice il disastro universale
Una di queste con nel palmo
la Torre di guardia me ne diede avviso
un pomeriggio con un sorriso
senza denti trionfante e calmo
Anticamente tali figure
uscivano di soppiatto dai boschi
inoffensive ma fosche
abbastanza da far paura
Ivo però che le era a lato
memore di quand’era cameriere
della Scuola la mise a tacere
garantendo che ero già informato
II
Pròvati a fare ora
Fiume Pola in un’ora
come il pullmann di Grattoni
pare che i viaggiatori vomitassero
Guardo il mondo oscillando senza
sapere bene cosa farne
e lo passo nel tritacarne
d’una cedevole cadenza
Una bruna sui diciassette forse
al finestrino come fosse sola
quasi nemmeno s’accorse
della baraonda del doposcuola
Lasciandosi un poco andar giù
col sobbalzare del vagone
leggeva con grande attenzione
La
Signora Bovary
La signora Costa di Biella
ci mise in testa fin dal primo momento
che in natura niente di nuovo si crea
ma ci s’arrangia con quello che passa il convento
Al tempo stesso nulla si distrugge
ma tutto lascia un segno ancorché
confuso
nella memoria degli oggetti logori
da tempi immemorabili di riuso
Noi cantavamo da bambini
di
Altafini
vogliam
la pelle
per
far le scarpe alle bidelle
Pascoli ch’era in vena di far versi
umanitari col bambino
sulla porta fu lieto di tenersi
alla fin fine in tasca il suo soldino
Date un servo anche a me che senta
auscultando crescere l’erba
e dalle gote tragga un vento
che uomini e navi disperda
Disse una volta Abramo Lincoln
buon’anima
di Grant che stava attaccato alla
bottiglia
ditemi la sua marca che la dò a bere
a tutta questa banda di cialtroni
Guerrico
il Biondo fece un bel discorso
quando
vide il nipote assai temere
senz’armi
avrebbe trattato di corsa
armato
non ne volle più sapere
Questa è l’acqua in cui si nuota
dove si beve o s’affoga
si vien fuori facendo la ruota
oppure appesi per la gola
III
L’onda bluastra inclusa dentro
la scatola di plexyglas oscillante
come l’onda oceanica nel ventre
d’una più vasta macchina risonante
Al limite delle sfere celestiali
da cui la musica mondana ha origine
e s’immerge nel coro degli animali
protetta da un velo di caligine
Come stride la fonte che s’inabissa
nel terreno deserto che resta secco
e fa sfolgorare una striscia
lucente come la bava di un insetto
Come il fiotto di sangue nella riposta
cavità dove la vita fluisce
e si perde in cunicoli nascosta-
mente percorsi da sonnolente bisce
La materia plasmata dal modesto
demiurgo umano in forme quasi viventi
non s’attacca alla vita e non fa
molestia
quando deve scomporsi negli elementi
Invece le macchine che la natura
ha costruito vive non si dan ragione
e s’armano fieramente di paura
per difender la loro conservazione
Non lo stani dal buio dove pittura
nero su nero scene di pastorizia
e tenta con la penna l’agricoltura
e farnetica i fasti della milizia
Una lingua morta da cui non strizza
il senso che l’indifferente glossa
come Natura riattizza
il germoglio dal fradicio intorno alla
fossa
Uomini interi e uomini fatti a pezzi
come si taglia il tubero per ripiantarlo
come monete si sotterrano
con la speranza di moltiplicarle
IV
Avrei fatto anch’io come il giapponese
quarant’anni alla macchia una guerra
persa
mentre ne stravincevano una diversa
i compagni tornati al loro paese
Poi colto al volo come un insetto
svagato
dalla lingua di rettile della storia
sarei tornato a casa quando la gloria
comincia ad inclinare verso il disastro
Argomento di riso ma non convinto
che la parte peggiore l’abbia davvero
la vittima alla fine del conto
che cambiando le cifre fa sempre zero