Canzone frottola
Perciocché
avviene bene spesso, il che forse non udiste voi, donne, giammai, né
credevate
che potesse essere, che mentre essi dal molto e lungo dolor vinti sono alla
morte vicini, e sentono già in sé a poco a poco partire dal penoso cuore la
lor vita,
tanto d’allegrezza e di gioia sentono i miseri del morire, che
questo piacere
confortando la loro sconsolata anima tanto più, quanto meno
essi sogliono aver cosa
che a loro piaccia, ritorna vigore negl’ indeboliti
spiriti, i quali a forza partivano, e dona
sostentamento alla vita che mancava.
Bembo
Piffer piffer tromb tromba,
violin violin violino,
arp arp e bombardino,
un po’ fischia un po’ rimbomba
il concerto del mattino.
Un po’ striscia un po’ s’innalza
questa voglia di niente che m’accompagna
guardando fuori della mia finestra
gli sterpi gelati della campagna.
Il gelsomino chi l’ha più coperto,
farà da sé, mi dico, se tramontana
spazza il balcone, da sé solo avrà il
merito
se sopravvive alle gelate.
L’amico Recla a nove anni
elettronico promettente
indifferente alla poesia spegneva
le candeline col dorso della forchetta.
Una radio a galena disegnava
con pochi tratti su un fogliaccio
sgualcito,
e con un po’ di scotch ce la montava
in due minuti funzionante.
Io di quest’altro meccanismo ammiro
come si mostri in lui l’umano acume,
che per spremere il succo dell’agrume
inverte il senso ad ogni mezzo giro.
Morire non è come sognare
visitati da ombre, più rimorsi
che desideri, mentre uno
sgrana il gelo del tempo a morsi.
L’Ecclesiaste, che era un vecchio
saggio,
che compulsavo spesso sedicenne,
dice: quando l’hai fatta, quella di
nascere,
tutto il resto sono quisquilie.
Beati dunque i morti, e più beati
i non mai nati, dice l’Ecclesiaste,
le foglie già cadute che mandano fumo
acre negli orti su improvvisate cataste.
La vedova del tempo ci s’avventura
secondo il rito indiano – da quelle
parti
sembra la vita più che la morte far
paura,
trascurando che l’una e l’altra è
tutt’uno.
Uomini un tempo si ritagliano
pigro dapprima poi rapace
nel precipitare delle trasformazioni,
che sette anni nell’ombra
del ventre materno maturano,
ma non vivono poi che sette anni.
Altri hanno i piedi volti
all’incontrario
con le piante di sopra, e sette dita,
altri testa di cane, altri non l’hanno,
ma gli spuntano gli occhi dalle spalle,
altri nascono coi capelli bianchi,
e invecchiando diventano neri e castani,
altri hanno un occhio solo, altri una
gamba,
e con quella corrono come il vento,
altri uccidono i padri e se li mangiano
prima che la vecchiaia li affievolisca,
ed è per bontà d’animo che lo fanno.
Sognando di sognare,
siamo venuti dove ancora si crede
che piangendo e gridando per tre giorni
il leone richiami in vita i piccoli,
dove dee madri di diversa forma
sedute su una tomba partoriscono
creature di sogno che si ribellano,
copia dum mentem suffocat larga ciborum,
mentre i poeti gonfiano le vene del
collo
e le matriarche stringono le labbra
bevendo il tè in appartati giardini,
non scopano mica, pensano solo ai
bambini.
Fagottin fagottò,
una faccia di Pierrot
fa a cazzotti col tamburo
per vedere chi è più duro.
Fossi così forte e così signore
di me che fossi libero da amore
e non m’avesse amore in suo potere,
saprei ben io fare parole da vendere
a chi vuol vendere le sue carabattole:
chi produce e non vende
s’accorge che non rende. A suon di spalle
piegate e di parole spese bene qualcuno
è diventato principe d’un villaggio
di capanne di fango e di sterco
compresso,
un altro guida in aria il ferrovecchio
con il motore di sinistra in fiamme
e la spia che segnala quello destro;
altri bruciano incenso o pecore o
cristiani
con riti vari diversamente vetusti
brontolando aforismi millenari.
Il cavalier Pietro Beltrami
diceva: guarda com’è la politica:
l’imperatore di Germania
presiedeva il consiglio a brache aperte,
e il prudente ministro escogitò
di dire a un tratto: e ora,
abbottoniamoci.