Guglielmo IX, Ab la dolçor del temps novel
Con il dolce
tempo novello
fogliano i
boschi, e gli uccellini
cantano ognuno
nel latino
suo coi modi
del nuovo canto:
dunque è ben
giusto aver piacere
di ciò di cui
s’ha più volere.
Donde è per me
più buono e bello
non vedo messo
né sigillo,
per cui non
dormo più e non rido,
e non oso più
farmi avanti
finché non
sappia se la fine
è così come la
domando.
Il nostro amore
va così
come il ramo
del biancospino
che resiste
dritto sull’albero
la notte, alla
pioggia ed al gelo,
finché al
giorno il sole si spande
su foglie
verdi e ramoscelli.
Mi ricordo
ancora un mattino
che ponemmo
alla guerra fine,
e n’ebbi un
dono tanto grande,
il suo amore
ed il suo anello:
e che abbia,
vivessi tanto,
le mani sotto
il suo mantello.
Non mi curo
che altrui latino
mi stacchi dal
mio Buon Vicino;
so dei
discorsi come vanno,
come lo dice
un detto in breve:
c’è chi si va
d’amor vantando,
noi ne abbiamo
pane e coltello.
Edita in Anticomoderno Uno. Convergenze testuali, Roma, Bagatto, 1995 (e già
prima in Scritti per Roberto Antonelli in occasione
dei suoi 50 anni, Roma, Bagatto, 1992).
Testo: Guglielmo IX d’Aquitania, Poesie, a cura di Nicolò Pasero, Modena,
STEM Mucchi,
1973 (ma vedi ora l'ed. di Francesca Gambino nelle Lecturae tropatorum, online)
Poesia non databile, se non entro i limiti
di vita dell’autore (1071-1126).
Nella terza strofa traduco qu’esta sobre l’arbr’entrenan anziché en creman di Pasero
(cfr. Maria Grazia Capusso, Guglielmo IX
e i suoi editori, «Studi Mediolatini e
Volgari»,
XXXIII, 1987, pp. 135-256, 212-13).