Serata in casa con divinità
Non con dita nervose
caricare la pipa, non con mano
frettolosa gettare sulla bianca
distesa una fragile rete
all’incostante corso dei pensieri
Vedi il dito divino come vacilla
scrivendo il tempo, questo tempo
tremante
sulla tovaglia della mensa celeste
Accanto il sonno, ritto sullo zoccolo
che s’intravede sotto il tavolo, china
la testa all’orecchio divino
e vi lascia cadere qualche parola
Nomi forse, ma getta l’occhio
di lato nella scollatura
d’una signora tra i diciotto e i venti
che par matura a venir giù dall’albero
Ma, lamenta il vecchio, non è
quel tempo più né quell’età,
e lo sguardo non è sicuro:
come un asino di natura
non capisco la mia scrittura
Come me l’essere umano
quando sale grado a grado
lungo la scala della conoscenza
crede ogni volta che sia invano
fino a quel punto l’esistenza
Quando avrà tanto sofferto
per difendersi dai malanni
e arrivare a novant’anni
per poter dire «ho novant’anni»
I suoi anni saranno appesi
davanti a lui come i pastrani
cui tenne il professore anziano
la lezione sugli Albigesi
E costui che davanti alla bottiglia
guarda distratto la televisione
con aria né triste né lieta
vedi come sembra convinto
d’incontrare anche lui il suo poeta
In un mondo di basse tensioni
che il movimento degli elettroni
agita d’una carica inquieta
Accanto il sonno, proteso sul gomito
con cui s’appoggia sopra il tavolo,
tiene
la testa piegata nel palmo
e fa mostra d’attendere qualche parola
Nomi forse, ma getta l’occhio
nel vuoto dove si figura
una dimora chiusa a tutti i venti
che par sicura da poter difendere
E costui che dentro di sé
non sa più dire che farà
della sua vita, di sicuro
come un asino di natura
non capisce la mia scrittura