Giraut de Borneil, Cardalhac, per un sirventes


Cardalhac, per un sirventese

sento che a assoldarvi verrete,

ma prima che v’apra il portiere,

da lontano voglio il saluto,

perché un poco vi puzza il fiato,                     5

e troppo avanti voi vi fate:

perciò è meglio un po’ di denaro

mandarvi che più presso vi s’attenda,

che è dura a non girarsi o senza benda.

 

Non lo sapevo, ma ora ho appreso                 10

qual è stato il vostro mestiere:

sento che foste balestriere,

che il corpo a corpo mai amaste,

però v’hanno preso lo stesso,

benché in fondo alle schiere foste,               15

e a chi tocca un tale incidente

val più che il piede o il pugno loro tenda

che lo s’acciechi o lo s’infilzi o appenda.

 

Vi mostrate baldo e cortese

quasi che foste un cavaliere,                       20

e la contate volentieri

con fare da amico zelante,

ma il nome v’è toccato giusto:

buon pellicciaio non sareste,

né d’altri affari non vivreste,                         25

che non valete in nessuna faccenda:

scarso acquisto vi valga vile rendita!

 

Altro consiglio non darei,

che non sareste buon scudiero,

né condurreste altrui destriero                     30

senza al pomo legare il freno,

e volendo voi tanto buoni

pranzi da ingordo e da ghiottone,

non v’accoglierà un monastero

per darvi carità né una prebenda,                 35

che non è da voi scrivere leggende.

 

Ora giacché è chiaro che mai

buon intendente non sarete,

entrate prima che potete,

prima che l’albergo sia pieno,                       40

e poiché un tale miserabile

guidato dalla sua sfortuna

pensa d’essere mattiniero,

contentatevi che un po’ di merenda,

non il collo per frode, vi si stenda!               45

 

Perciò non voglio mi stia accanto

né che mi sia compagno a tavola,

che la salsa sarebbe sua

quando ci avesse messo il dito;

e chi fa, come a pagamento,                         50

tutto male come un mancino

– e non ho voglia di vedere

come danza – male il dono gli rende,

che d’offrirsi malamente pretende.

 

Ed ormai, dato che vi chiamano                   55

per nome ‘giullare laniere’,

guardate di non dare un pacco

all’oste, né altro dispiacere;

che avrete vinto molto quando

vi mescerà altrui bottigliere,                         60

e siate con loro educato,

scegliendo il poco che non vi si venda,

più che gran doni e compensi pretendere.

 

Potendo vi darei, sappiate,

visto il vostro bisogno estremo:                   65

perciò credete al mio consiglio,

che già a molti altri ha fatto bene,

e se verso Rodes andate,

e passate fra i montanari,

non vi tenga freddo o burrasca                     70

che dal Delfino non siate a calenda:

non servirà pregare che v’intenda.

 

Al mio Buon Patto pregate v’intenda,

e pensi sempre più a far doni e a spendere!

 

E i ricchi vili pregate Dio guasti,

che non amano pregio, doni e feste.

 

 

    Testo: Sämtliche Lieder des Trobadors Giraut de Bornelh, hrsg. von Adolf

Kolsen, Halle, Niemeyer, 1910-1935; cfr. anche Ruth Verity Sharman, The cansos

and sirventes of the Troubadour Giraut de Borneil: a Critical Edition,

Cambridge, University Press, 1989, con due sole varianti di sostanza, che

ritengo da accogliere nel testo: cfr. le note ai vv. 18 e 46. Intervengo libera-

mente sulla punteggiatura.

 

    Canzone giocosa di scherno d’un giullare, come ce ne sono di altri tro-

vatori. In questo piccolo genere poetico, il giullare chiede un testo da can-

tare, ovviamente a pagamento, e il trovatore lo insulta, rinfacciandogli se-

condo i casi difetti fisici e morali, malefatte commesse, l’ignoranza, la voce

stonata.

    Delfino d’Alvernia (signore di Clermont e Montferrand dal 1181, grande

protettore di trovatori e poeta lui stesso), cui la poesia è mandata, rincara

la dose allo stesso Cardalhac con Puois sai etz vengutz Cardaillac (119,7, ed.

Emmert M. Brackney, A Critical Edition of the Poems of Dalfin d’Alvernhe, tesi

di PhD, University of Minnesota, 1936, che leggo però nella COM), che fini-

sce Girautz sa·us mandet ben en van, / quan vos dis que a mi vencsetz ‘Giraut

vi ha mandato qui per nulla, quando vi ha detto di venire da me’. Si può an-

che immaginare (visto che si immaginano cose anche meno verosimili, in ma-

teria di poesia trobadorica) che Giraut si trovasse alla corte di Delfino, e che

le due poesie facciano parte di una sola messa in scena comica (e non è

da escludere che un giullare non necessariamente mutilato impersonasse il

personaggio Cardalhac e cantasse entrambi i testi).

    Il testo è difficile e problematico; come per altri testi del Quadernino, tra-

duzione e note sono provvisorie.

 

10-18 Fa capire che il giullare è mutilato, immaginando con scherno che ta-

le mutilazione gli sia toccata perché è stato fatto prigioniero, sebbene se

ne stesse prudentemente nelle retrovie (anzi faceva il balestriere proprio

per poter combattere da lontano), e se l’è cavata con una mutilazione in-

vece d’essere accecato, passato a fil di spada (esglaie da esglaiar, da gladium)

o impiccato.

 

13 c’anc no·us plagron colp demanes ‘che non vi piacquero mai colpi da vicino’,

non plaguen (edd., ‘che non vi feriscano mai’, ma anc si riferisce al passato).

 

18 c’om l’azorbe ni l’esglaie ni·l penda, Sharman (su A, laorbe DH [diviso la orbe D,

laor be H, che non vuol dir nulla]); que·lh fass’om peitz di Kolsen (su CIK) sem-

bra un rimedio a una lezione non compresa (per via di un esemplare poco leg-

gibile?), anche se la convergenza di C con IK fa un po’ pensare.

 

23 Mette in relazione il nome del giullare con cardar ‘cardare (la lana)’, gio-

cando poi al v. 56 sull’equivocazione di joglars laners ‘giullare vile, da poco’

(il falco lanier ‘falcone laniere’, etimologicamente quello ‘da oche’, è di poco

pregio), con ‘giullare lanaio’.

 

29-31 Ritornando sulla mutilazione di cui sopra, fa capire che al giullare

manca precisamente la mano destra; non potrebbe condurre il destriero

di un cavaliere reggendo le redini (fres ‘freno’), a meno di legarle a un

gancio (croc, ma si tratterà del pomo della sella).

 

36 Il giullare non è in grado di scrivere (o meglio trascrivere) vite di santi

(legenda), attività per la quale potrebbe essere mantenuto da un mona-

stero, perché è monco o anche perché è ignorante (o per entrambi i motivi).

 

38 ‘Intendente’ (fazenders): del monastero di cui alla strofa precedente.

 

41-45 Il miserabile conta d’essere mattiniero, cioè di alzarsi presto per fug-

gire senza pagare il conto; il poeta gli consiglia di non farlo, perché invece

di ‘stendergli davanti’ la merenda l’oste potrebbe ‘stendergli il collo’, tirarglie-

lo, facendolo impiccare per la sua frode. Così almeno sembra di capire a Kol-

sen, ma il passo è ellittico e non ben comprensibile; costruire: c’om vos pe-

restenda un pauc de merenda, c’om [vos perestenda] lo col per [vostre] engan?.

Sharman stampa com un pauc de merenda, e traduce ‘contentatevi di un pa-

sto modesto, piuttosto che farvi tirare il collo per il vostro comportamento

disonesto’ («so be content with a modest meal, rather than have your neck

stretched for dishonest dealing!»).

 

46 Per so no volh ges qui m’ades: Kolsen emenda in qui il que di tutti i mss.,

ma forse ha ragione Sharman: in questa strofa Giraut parla del giullare in ter-

za persona, con una transizione (poi di nuovo alla seconda nella strofa suc-

cessiva) che non pone particolari problemi.

 

52-53 Qui pare d’intendere che il giullare sia monco anche d’un piede

(cfr. v. 17).

 

54 Intendo molto dubitativamente oferenda come ‘offerta dei propri servizi’

(di giullare).

 

57 Paner (o panier) è il ‘paniere’ o ‘cesto’; ‘fare panieri a qualcuno’ sembra

valere lo stesso che in italiano colloquiale dare un pacco, ‘imbrogliare’.

 

71 Kalenda, primo giorno del mese, inteso come giorno di festa (Sharman: «at

Christmas», ma poi al v. 76 «feast days»).

 

72 Già a Kolsen il verso pare ironico o almeno ambiguo, come poi dimostra la

ripresa del Delfino (v. sopra).