Il vaniloquio
I
All’inizio del resto della mia
vita
A questo fuso orario arriva prima
La chiusura di Tokyo sul
cappuccino
Quando apre Milano ed il giorno
s’avvia verso i minimi
Sono piccoli segni crepe sul muro
Madri gettano i figli dalla
finestra
Tre gol abbiamo preso come polli
Uno scudetto gettato nel cesso
Cominciare un poema non so per
chi
Dovrebbe essere l’ultima delle
cure
Quando un uomo che vede a ciglio
asciutto
Camminare i maiali sopra i
classici
Madri gettare i figli nel pattume
Piange come un vitello sul suo
scudetto
Quando Milano apre e il mercato
pencola
Sui suoi cinque minuti di futuro
Non sarò meno piccolo di costoro
Non sarò meno cieco dei miei
simili
Non verrò fuori come Enea da
sotto
Le rovine col mio passato in
spalla
Che s’attaccò alla vita soffrendo
molto
Per dar retta ai suoi dèi bizzosi
viaggiò
Attaccò briga vinse uccise i
nemici
Sebbene controvoglia ma un po’ ci
credeva
Lasciò il padre per via il
nocchiero in mare
Lasciò anche per ordine dei suoi
dèi
Una donna a Cartagine che s’uccise
Che se Annibale fosse andato a
Roma
Il suo poema Enea se lo poteva
scordare
II
Poiché Annibale non andò a Roma
E gli Scipioni andarono a
Cartagine
(Farsi ingannare è un danno la
prima volta
La seconda è stoltezza dice
Catone
La terza una vergogna dunque come
Sopporteremo ancora i
Cartaginesi?)
Enea rivide il padre dice il
poeta
Dalle parti di Napoli se non
sbaglio
E vide i morti e chi doveva
nascere
Vide anche l’impero dei suoi
figli
Che se Annibale fosse andato a
Roma
Sarebbe andato a pezzi peggio di
Troia
Che andò a pezzi comunque ma un
po’ alla volta
Sebbene ancora il vecchio prete a
Salionze
A puzzette nel muso trattò il
barbaro
Disprezzando la vita ma gli andò
bene
Che se ne andò a morire nelle sue
steppe
Vide infatti un arcangelo essendo
un barbaro
Alle spalle del vecchio e prese
paura
E se ne tornò indietro ma da
oriente
Ritorna anche di peggio quando
l’indice
Della fiducia dei pulitori di
parabrezza
Delle città minori e di media
grandezza
Scende un paio di punti comincia
Tokyo
Hong Kong dietro non c’è il tempo
di piangere
Uno scudetto gettato nel cesso
Che da Milano il parco buoi si
agita
Per tutta Europa finché dietro il
sole
Va a cadere il mercato oltre
l’Atlantico
III
Da occidente ad oriente verso il
sole
Sullo spiedo del tempo a fuoco
lento
L’effetto Anchise tira giù la
cassa
Previdenziale dei commercialisti
In procinto d’unirsi dice la
radio
Con la cassa dei ragionieri da
oriente
A occidente sul gran mare del
liquido
Che si riversa fuori dai mercati
Attaccati alla vita su carrette
Semiaffondate cadono spesso nel
gorgo
Senza poeti in vista senza aldilà
Dalle parti di Napoli da
occidente
Ad oriente ritornano galleggiando
Sulle onde del liquido che
travolge
La diga dei mercati per qualche
spiffero
Sulla fiducia dei piazzisti di
pillole
Da occidente ad oriente sentendo
il vento
D’un moto contrastante secondo
alcuni
Il pianeta girando produce una
musica
Detta armonia celeste per chi
l’ascolta
Non avendo la radio l’ascoltavano
Gente umile e buona vedendo fuori
Camminare i maiali sopra i
classici
Copiando Ovidio non sapendo per
chi
Orazio satiro Lucano Virgilio
Come Enea tanto amò tanto
sofferse
Che Didone s’uccise maledicendolo
Che se Annibale fosse andato a
Roma
Non avrebbero avuto di che
copiare
IV
Quando non eravamo ancora nati
Dice il poeta non ce ne fregò
Un accidente dei Cartaginesi
Che venivano addosso da ogni
parte
Né dei morti ammazzati né della
sorte
Del mondo che fu in bilico finché
Quando Annibale fu
incerto
Per paura sul più
bello
Gli tirarono un
rigore
Con la testa del
fratello
Quando saremo morti
non ci farà
Nemmeno il fresco il
mondo se si rivolta
Dalle viscere il mare
se si mischia col cielo
Madri gettare i figli
nei cassonetti
Uno scudetto gettato
nel cesso
Attaccati alla vita
come denti
Di cane sulla chiglia
del tempo in corsa
Sulle onde del
liquido che zampilla
Dalla ferita dei
mercati invece
Si spaventano a un
nulla corrono a vendere
Attaccato alla vita
per errore
A questo fuso orario
il vecchio Titone
Che vide troppa merda
cadere dal cielo
Manda fuori l’amica
sull’orizzonte
Con la chiusura delle
borse asiatiche
E la frittata è fatta
ma se guadagnano
Si spaventano a un
nulla vanno dal medico
Per un colpo di tosse
si raccomandano
A Dio temendo che gli
sfugga la vita
V
Bruto e Cassio a Filippi Catone a Utica
Irridendo l’ilarità del cielo
E Marco Antonio ad Azio quando fu
Il momento di prendere la fuga
E Cleopatra in Egitto per non vedere
Acidamente sorridere Augusto
Seneca il giusto a Roma prevenendo
Lo scherno di Nerone e costui del popolo
(Quale grande artista muore con me)
E Sansone che Amore fece fesso
Per cancellare il riso dalla faccia
Dei Filistei Annibale in Bitinia
Che non andò a Roma fece ridere
Alla mia età dovrei essere forse
Attaccato alla vita come un profugo
Coi ricordi di prima del disastro
In una scatola da biscotti da oriente
A occidente respinto dalle onde
Sulla barca del tempo stretto in pugno
Il libretto annientato dall’inflazione postbellica
Senza poeti in vista senza aldilà
Dalle parti di Napoli cullando
Il proposito di tornare un giorno
Dove nulla è mai più com’era un tempo
Anatema Agostino che fu dottissimo
Sui falsi dèi bugiardi cani da zuppa
Che lasciarono scorrazzare i barbari
Non salvando le vergini dallo stupro
Non salvando le mura dal venir giù
VI
A Salionze un cartello dice che il barbaro
Si spaventò vedendo uno o più arcangeli
Dietro Leone che gli disse da oriente
A occidente dai secoli dei secoli
Attaccati alla vita su infinite
Pianure con le masserizie in spalla
Adorando le previsioni del tempo
Facendo strage in parte in parte nozze
E voltandosi subito a difendersi
Dall’ondata del giorno dopo scesero
Fino al Mediterraneo ed all’Atlantico
Dietro Leone che lo fece fesso
Vide arcangeli il barbaro e fuggì
Tornando al buco che produce i popoli
Che dal tempo dei tempi immemorabile
Fanno d’ozi beati e di vivande
I mercanti di buchi nelle cinture
Alla mia età dovrei essere forse
Attaccato alla vita come uno
Del ventinove giù dalla finestra
Col fissato bollato stretto in pugno
Mentre solo fra tutti saldo e stabile
Il mercato delle indulgenze non balla
Sulle onde del liquido che s’ingorga
Dentro il cesso del tempo tuttavia
Tutti gli dèi che son sotto la luna
E di là in su di queste anime in pena
Un minuto di più
Non potrebbero farne vivere una
VII
Dietro Leone che gli disse da un giorno
All’altro non sarà venuta giù
Quasi ancora la barriera a occidente
Che prenderanno a pattugliare a oriente
Il confine allargato con l’aiuto
Di pellirosse addestrati a sorprendere
Le infiltrazioni dei barbari e dei poveri
D’altro canto a Cassino ci sta scritto
Noi soldati polacchi abbiamo dato il corpo
All’Italia ed il cuore alla Polonia
L’anima a Dio e cosa c’è rimasto
Una croce di siepi sotto il colle
Che si vede dall’alto dell’abbazia
Con l’aiuto di pellirosse esperti
A prendere sul fatto i poveri diavoli
Saranno questi nostri nuovi fratelli
A tener chiusi i buchi del colabrodo
A Salionze da dove il Mincio scende
Fino a Governol dove cade in Po
Dietro Leone che gli disse da oriente
A occidente comprandosi un visto turistico
Attaccati alla vita su treni ed autobus
Lasciando i vecchi a scaldarsi al falò
Dei sacri testi dalle steppe centrali
Fino al Mediterraneo ed all’Atlantico
A guadagnarsi li vedremo da vivere
Reggendo il braccio ai nostri vecchi in silenzio
Dietro Leone che lo fece fesso
Vide arcangeli il barbaro e fuggì
VIII
Con il sole negli occhi poco sublime
Caricatura d’aquila al volante
Non vedendo figure semidivine
Minacciare miracoli nel traffico
Non vedrò chiaro con Boezio il male
Per più ragioni logiche e metafisiche
Non avere alcun tipo d’esistenza
Per carità di sé non dubitando
Dell’esistenza del bene lodando
Dal profondo del carcere del barbaro
Filosofia che gli avrà detto ladro
Nella notte non senza il favore dei giudici
S’introdurrà il governo nei conti correnti
Tassando i soldi della casa in transito
Da ricomprare il giorno dopo la vendita
Vide chiaro Boezio come non mai
Dal profondo del carcere l’armonia
Delle sfere celesti il motore immobile
Con ogni perfezione benché sordo
Benché cieco alle lacrime non essendo
Che l’universo preso così com’è
Facendo conto che sia un bene lodando
Filosofia che gli avrà detto nessuno
Insorgerà dai fanghi del diluvio
A vendicare con il ferro e col fuoco
Gente umile e buona vedendo fuori
Camminare i maiali sopra i classici
Insegnando ai bambini di nascosto
Dal direttore l’analisi logica
IX
In
rialzo da sempre l’apertura
Del
mercato delle indulgenze desta
A
questo fuso orario alti prelati
Con
buone nuove da occidente e da oriente
Con
idoli con libri con immagini
Con
visioni con sogni con profezie
E con
un dente di san Pietro Orlando
Nel
pomo della spada alla catena
Dell’orologio
un dente di George Washington
Il suo
dottore come ancora si vede
All’Accademia
Medica di New York
Adorando
altri astri acque spiriti
Alberi
vesti chiodi voci calici
Cuius
regio eius religio
I
migliori passarono l’Atlantico
E nel
brago affogassero i maîtres-à-penser
Con le
vele dei più diversi dèi
Navigando
di nuovo sopra il sangue
Spezza
la schiena ai naufraghi la chiglia
Trionfalmente
avanzando sulle onde
Avesse
scritto almeno la Vispa Teresa
Il
poeta potrebbe essere epico
Se ne
avesse materia con gente piccola
Se
l'aiutasse il tempo solo il tempo
Fa d'un
ladro di polli un monumento
Solo il
tempo ti dice se fosse meglio
Far
riposare gente che ha dato molto
O
tentare la sorte andando subito
All’assalto
del nulla dietro le mura
x
L’onda lunga del
pessimismo asiatico
Dice la radio batte a
occidente la costa
Del mercato ma non
turberà il sonno
D’un pastore di
popoli né d’un mercante
D’indulgenze che è
uno perciò vivano
Senza pietà crescendo
e moltiplicandosi
Che su un povero
essendo non granché
Il guadagno si fa sui
grandi numeri
Alla mia età dovrei
essere forse
Attaccato alla vita
con le taniche
Ed il trapano in mano
in terre vergini
E desolate non
sapendo perché
Forando i tubi del
petrolio saltando
Talvolta in aria
alzando globi di fuoco
E colonne di fumo
maleodorante
Con un po’ di
pazienza moriva uguale
Catone prima o poi ma
non volle attendere
E tagliò il cavo di
traino del tempo
Non volendo drizzare
le gambe ai cani
Non volendo discutere
con Augusto
Seneca il giusto non
si fece sorprendere
Che dedicò la vita a
farsi scudo
Dalle risa del cielo
sopra di sé
Avesse visto tutta la
corte celeste
Non sarebbe tornato
così in fretta
Federico da oriente
ad occidente
Che s’imbarcò
bersagliato da un lancio
Di trippe dalle
vecchie stretto in pugno
Il borsellino con
l’insegna dell’aquila
2002-2007
Le prime tre strofe e la nona sono state pubblicate su il Domani – Cultura
(nell’edizione bolognese della Stampa) del 15 luglio 2007 con una nota
di Jean Robaey.
Lo scudetto di cui si parla è quello che l’Inter perse il 5 maggio 2002
giocando contro la Lazio. Le citazioni virgiliane sono trasparenti, come anche
la storia di Annibale, che dopo Canne non marciò su Roma, e andò a finire come
tutti sanno.
II La frase attribuita
a Catone il Censore fa invece parte di un esempio di argomentazione proposto
da Cicerone nel De inventione, I 71, senza dichiararne la fonte: «Ac primo quidem decipi incommodum est; iterum, stultum; tertio,
turpe. Carthaginienses autem persaepe iam nos fefellerunt. Summa igitur amentia
est in eorum fide spem habere, quorum perfidia totiens deceptus sis».
A Salionze, lungo il Mincio poco a valle di Peschiera del Garda, c’è ancora
(o c’era) un cartello dietro una svolta, che dichiara che lì Leone I incontrò
Attila e lo convinse a tornarsene indietro.
IV Il poeta
della quarta strofa è Lucrezio (III, 832-42).
Asdrubale, fratello di Annibale, fu sconfitto
e ucciso nella battaglia del Metauro; la sua testa fu gettata nell’accampamento
di Annibale, che non era andato a Roma al momento giusto.
V Il Catone
della quinta e della decima strofa non è naturalmente quello della seconda, ma
è l’Uticense, pronipote del precedente, il cui titolo principale è d’essersi
suicidato a Utica dopo la sconfitta dei sostenitori di Pompeo contro Cesare,
che gli valse il posto di custode del purgatorio dantesco e, con questo, non poche pagine di
critica del divino poema.
VI Dubito molto
che il fissato bollato, che è un
documento fiscale usato nella compravendita di azioni, si usi anche in America
(credo trasparente il riferimento alla crisi del 1929); ma anche Leopardi non
avrebbe dovuto, secondo Pascoli, mettere in mano alla stessa donzelletta rose
e viole, che son fiori (dice lui) di stagioni diverse.
VII Pochi giorni dopo l’allargamento dell’Unione Europea, articoli
giornalistici, da me inverificabili, parlavano dell’allestimento in Polonia di
servizi di frontiera contro l’immigrazione clandestina extracomunitaria (che i
polacchi stessi avevano alimentato fino al giorno prima), con l’aiuto di
consulenti americani, appartenenti a un qualche ‘popolo nativo’ (ma Leone Magno
li chiamava ancora pellirosse) e per qualche ragione particolarmente esperti
nel fare non so che.
Da Noi soldati polacchi a
L’anima a Dio è effettivamente un’iscrizione che lessi e trascrissi a
Cassino, in occasione di una visita universitaria, e che ho travasato
letteralmente nel mio testo.
VIII Ricordo che non so quanti anni fa un governo tassò i conti correnti
bancari sulla base della giacenza di un giorno precedente al decreto, e non so
quale corte o tribunale gli diede pure ragione contro i ricorsi.
X
Dovunque gli oleodotti passino in terre incontrollabili c’è chi cerca di rubare
il petrolio, a volte con incidenti mortali; qui penso in particolare alla
Nigeria.
L’episodio di Federico II è
narrato da Filippo da Novara, che dà una pessima immagine dell’imperatore
crociato. Si riferisce in realtà non ancora al ritorno in Italia, ma
all’imbarco per Cipro, il 1o maggio 1229, da Acri, dove Federico era
giunto da Gerusalemme dopo avere concluso la tregua coi Saraceni «alle
condizioni che vollero loro»: «L’imperatore preparò la sua traversata di nascosto,
e il primo giorno di maggio, all’alba, senza farlo sapere a nessuno, si ritirò
su una galea davanti alla Beccheria. Accadde allora che i beccai, e le vecchie
di quella strada che sono molto fastidiose, lo accompagnarono lungo il
percorso e lo bersagliarono con trippe ed altre frattaglie in modo vergognoso»
(Filippo da Novara, Guerra di Federico II in Oriente (1223-1242),
Introduzione, testo critico, traduzione e note a cura di Silvio Melani, Napoli,
Liguori, 1994, §§ 41-42).