Raimbaut d'Aurenga, Escotatz! Mas non sai que s'es
Udite! Ma non so cos’è,
signori, che voglio iniziare:
vers, estribot né
sirventese
non è, nome non gli so dare;
e non so affatto come farlo
se tale non lo so finire,
che non s’è mai visto nulla di fatto in questo modo da
uomo né da donna in questo secolo né nell’altro che è
passato.
Dite pure che è una follia,
ma non potrei perciò lasciare
di dire ciò che di cui ho voglia;
non mi si stia a predicare:
tutto il mondo non vale un soldo
contro ciò che ora vedo e ammiro,
e vi dirò perché: se ve l’avessi proposto e poi non lo por-
tassi a fine, mi prendereste per un bischero; preferirei sei
denari nel pugno che mille soldi in cielo.
Non tema farmi un dispiacere
l’amico mio, voglio pregarlo;
se non vuole aiutarmi ora,
me lo prometta a lungo termine:
meglio di chi m’ha conquistato
nessun altro mi può ingannare.
Tutto questo lo dico per una donna che mi fa languire con
buone parole e lunga attesa, non so perché. Può essere un
bene per me, signori?
Son passati ben quattro mesi
– sì! più di mille anni mi pare –
che s’è degnata di promettermi
di darmi ciò che m’è più caro.
Donna! Il cuore l’avete preso,
dunque addolcitemi l’amaro.
Dio, aiuto! In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti! E
questo che sarà, donna?
Che son gaio per voi, tristissimo;
triste-allegro mi fate scrivere;
e sono andato via da tre,
tranne voi, al mondo senza pari;
e son folle cantor cortese,
per cui mi chiamano Giullare.
Donna, potete fare come vi pare, come fece donna Ayma
con lo spadino, che l’inguainò dove le piacque.
Finisco il mio ‘non so cos’è’:
così ho voluto battezzarlo:
non ne ho udito mai uno simile,
perciò devo così chiamarlo;
e lo dica, quando l’ha appreso,
chi mai se ne vorrà giovare,
e se qualcuno gli domanda chi l’ha fatto, gli può dire che
è stato uno che sa far bene di tutto quando vuole.
Edita in Pietro G. Beltrami, Note sulla traduzione dei testi poetici
medievali in lingua
d’oc
e in lingua d’oïl, «Nuova Rivista di Letteratura
Italiana», VII, 2004, pp. 9-43.
Testo: Walter T, Pattison, The
Life and Works of the Troubadour Raimbaut d'Orange, The
University of Minnesota Press, Minneapolis, 1952.
Poesia non databile se non nell’arco di vita dell’autore, che nacque
forse nel 1144, e morì
nel 1173 (quella della sua
morte è una delle non molte date certe della letteratura trobadorica).
È l’unica composizione trobadorica che presenti una breve prosa alla
fine di ogni strofa;
pensata, come normalmente
le canzoni dei trovatori ma in modo ancora più marcato, per una
messa in
scena dal vivo. La difficoltà di ascriverla ad un qualunque genere è uno dei temi
su
cui l’autore gioca.
Come è stato notato, escotatz (‘ascoltate’)
è la parola-ritornello del vibrante vers morale di
Marcabruno Dirai
vos senes duptansa (o Dire vos vuoill
ses doptansa nell’ed. Gaunt-Harvey-Paterson);
e ci sarà
probabilmente un voluto richiamo parodistico, da parte di Raimbaut, al poeta
da cui
ha imparato moltissimo quanto a lingua e stile, ma dal quale è
lontanissimo nello spirito.
Nella traduzione mantengo due ambiguità. La prosa della prima strofa può essere con
l’ultimo verso in rapporto
consecutivo (un ‘qualcosa’ che sia tale che non s’è mai visto nulla
di simile...) o
causale (un ‘qualcosa’ di questo genere; perché...). Nella seconda strofa, ciò
di cui ho voglia (mon talan) è riferibile sia alla poesia da fare, sia al desiderio per la
donna.
Nella terza strofa, l’amico mio
è maschile (anche nel testo) perché l’espressione è genericamente
sentenziosa: ‘non
m’importa che mi si mantengano le promesse, che mi si dia aiuto ora quando
mi
serve, e me lo si prometta pure senza sapere per quando, perché tanto più
ingannato
di così non posso essere’.
Dell’episodio (forse un racconto) di donna
Ayma si può dire solo che una dama di questo nome
è protagonista di uno
scambio di testi giocosi fra Arnaut Daniel e altri trovatori (si può credere
da
dieci a trent’anni dopo Escotatz):
costei avrebbe imposto a un cavaliere di baciarle
l’ano per
avere il suo amore, e i testi commentano variamente, e burlescamente, il
rifiuto di quest’ultimo.